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Psicopatologia del terrorismo

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Una riflessione sui meccanismi psicologici e psicopatologici del terrorismo. E’ questo il tema “tragicamente attuale” dell’articolo ”Psychiatry and terrorism: exploring the unacceptable” appena pubblicato sulla rivista americana CNS Spectrums della Cambridge Press dalla psichiatra Donatella Marazziti dell’Università di Pisa e dell’unità operativa di Psichiatria I universitaria dell’Aoup diretta dalla professoressa Liliana Dell’Osso. “Sebbene la spiegazione del terrorismo da un punto di vista psicopatologico potrebbe non essere esaustiva non si può scartato a priori un modello teorico di partenza basato essenzialmente sulla sociopatia”, spiega subito Donatella Marazziti.
In psichiatria si definiscono sociopatici quegli individui che mancano di empatia, pietà, senso di colpa per le loro azioni, e manifestano una freddezza estrema e un’aggressività ferina. L’empatia, insieme alla teoria della mente, che è la capacità di percepire i pensieri, le emozioni  e i sentimenti altrui,  fa parte delle cosiddette “emozioni morali o socio-morali” collegate più al bene comune che a quello del singolo individuo.

“I terroristi, così come gli individui sociopatici – sottolinea Donatella Marazziti - sembrano del tutto privi di queste emozioni sociali, basta guardarli mentre eseguono le esecuzioni brutali con freddezza e autocelebrazione amplificata dall’uso sapiente delle nuove tecnologie”.  

Occorre, dunque, secondo l’autrice, avere il coraggio di cominciare a esplorare i processi mentali del terrorista, spesso complicati dall’uso delle droghe, e i meccanismi neurali alla base degli stessi. E questo malgrado le difficoltà reali nell’affrontare un fenomeno così complesso, visto anche l’esiguità dei terroristi che si pentono all’ultimo momento che possono essere visitati. I dati psicopatologici disponibili a tutt’oggi riguardano infatti perlopiù terroristi palestinesi, ma come evidenzia l’intervento della psichiatra pisana, in questo caso il fenomeno è del tutto particolare, generato in un contesto specifico, e non può essere generalizzato a quello che ha portato agli attacchi sferrati negli ultimi mesi nei Paesi europei.

“C’è da sottolineare infine una sorta di riluttanza e disgusto a esplorare questi comportamenti abnormi da parte di psichiatri, psicologi e neuroscienziati – ha concluso Marazziti - sebbene tentare di capire un comportamento che è umanamente inaccettabile appare fondamentale anche per prevenire il possibile ‘contagio’, o per intervenire nel caso di individui a rischio”.

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